Sede di una famiglia nobiliare di epoca rinascimentale, Palazzo a Prato fu in gran parte distrutto da un incendio a metà Ottocento e subito trasformato sotto la dominazione asburgica in un palazzo postale.
L’architetto Mazzoni, artefice della grande revisione novecentesca realizzata in chiave futurista del Palazzo delle Poste scriveva nel 1934: « la sede della direzione provinciale delle Poste di Trento non è un palazzo ma un insieme di costruzioni fra loro unite». Il Palazzo è infatti esito di qualcosa di diverso da una ristrutturazione, o un restauro: nasce dall’unione e inclusione dei resti del cinquecentesco palazzo della Famiglia a Prato (del quale rimangono visibili il portale rinascimentale, la trifora che si affaccia sul cortile e alcune arcate) con le vecchie poste austroungariche, che non furono demolite ma reinterpretate in chiave futurista. La grande opera si presentava d’un intenso blu sabaudo, a celebrare la recente annessione di Trento all’Italia, arricchita da preziosi interventi realizzati dai più importanti artisti del tempo: gli affreschi di Luigi Bonazza e Gino Pancheri, la scultura di Stefano Zuech raffigurante San Cristoforo sul lato sud del palazzo. Infine le vetrate: quelle intatte al primo piano di Enrico Prampolini e quelle perdute di Tato e Fortunato Depero che erano posizionate nel porticato del chiostro e immergevano in caleidoscopici giochi di luce gli spazi dell’ex dopolavoro, vivono oggi di nuovi colori e nuove attenzioni.







